Dopo l’Italia è il turno della Francia. Ecco in arrivo l’ennesima riforma del mercato del lavoro.
Le Figure A, B e C mostrano quello che di solito ci viene raccontato al proposito: maggiore flessibilità si traduce in maggiore occupazione (perché, data la domanda di lavoro delle imprese LD, la curva di offerta di lavoro LS in Figura C si sposta verso destra). Data la produttività del lavoro (il coefficiente a in Figura B), ciò aumenta l’offerta di beni (x in Figura A) e dunque il PIL reale, calmierando i prezzi (p). In termini formali, la curva di offerta aggregata (AS) si muove verso destra.
In questo schema il nesso causale va dal livello micro (il mercato del lavoro) a quello macro (il mercato dei beni finali).
I sindacati possono garantire un maggiore salario reale (w/p) ai lavoratori che un lavoro lo hanno già. Per contro, l’effetto netto dell’azione sindacale e dei sistemi di protezione dei lavoratori per la società nel suo insieme è negativo: un tasso di disoccupazione più elevato, prezzi più alti e una minore disponibilità di beni.
Che è poi la ragione per cui abbiamo bisogno di riforme del mercato del lavoro che ne aumentino la flessibilità, migliorando al contempo la situazione occupazionale, no?
No. Solo un esempio. Quando avete firmato il contratto con il vostro datore di lavoro (assumo che siate fortunati abbastanza da avere un impiego) non avete di certo contrattato il paniere di beni e servizi che sareste stati in grado di comperare con il vostro salario. E immagino che, del pari, nemmeno il vostro datore di lavoro abbia calcolato il proprio fabbisogno di manodopera attraverso qualche stima del salario “in natura” dei suoi impiegati.
Il fatto è che né il vostro salario reale né il numero dei vostri colleghi sono determinati sul mercato del lavoro. Le imprese assumono sulla base della domanda finale dei propri prodotti (Figura D più sotto), mentre il salario reale dipende dal sistema dei prezzi che le stesse imprese fissano in piena autonomia (dato il salario nominale contrattato dal singolo lavoratore o dai sindacati con le imprese).
Nel mondo reale il nesso di causazione va dunque dal livello macro a quello micro. In altri termini, è la domanda effettiva di beni che determina la domanda di forza-lavoro proveniente dalle imprese (date la produttività e l’offerta di forza-lavoro).
Qual è l’effetto delle riforme del mercato del lavoro quindi? Beh, è assai probabile che maggiore precarietà si traduca in una riduzione dei consumi, della domanda interna (la AD si muove verso sinistra, e questo avviene quanto più gli investimenti delle imprese sono sensibili al grado di utilizzo degli impianti), e dunque in una caduta dei livelli occupazionali e del salario nominale (da Figura D a Figura F, passando per Figura E). Il che è esattamente l’opposto di ciò che un governo dovrebbe fare, specie nel corso di una recessione.
A meno che… a meno che l’obiettivo reale non sia l’occupazione, ma qualcos’altro. Per esempio, la volontà di sostenere la bilancia commerciale. Discuteremo più avanti di questo aspetto. Nel frattempo, i “casseur” francesi potrebbero fornire qualche solida argomentazione volta persuadere i propri connazionali a non comprare auto tedesche. Che è poi la ragione per cui hanno ragione loro, comunque la si metta.