Il lascito teorico di Margaret Thatcher
La signora di ferro, come la definì la stampa sovietica, per via del suo carattere spigoloso e poco incline al compromesso; la nostra Maggie, come era chiamata amorevolmente dai suoi sostenitori; ma anche la ladra di latte, come fu soprannominata dalla stampa britannica in seguito alla sua decisione di porre fine alla gratuità del latte per i bambini sopra i sette anni; o, ancora, la figlia del droghiere, come era appellata dai suoi rivali nel Partito Conservatore (e, pare, dalla Regina Madre) per sottolinearne le umili origini, ma anche la distanza emotiva dalla classe operaia. Amata e odiata, rispettata e temuta, idolatrata e condannata senza appello, Margaret Thatcher (1925-2013) è stata una delle figure politiche chiave della seconda metà del Novecento. Quella che, più di ogni altra, ha incarnato la vittoriosa resa dei conti finale del nascente capitalismo finanziariamente sofisticato di matrice anglosassone con ogni possibile alternativa di società, si trattasse dell’ormai marcescente socialismo reale sovietico oppure il sogno di una terza via incarnato dalle industriose socialdemocrazie nord-europee.
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