(stralci da un’intervista per Writing Bad)

WW: le metaintervistine sono nate per “intervistare” persone legate al mondo della letteratura, poi si sono spinte verso il mondo della musica e ora… siamo giunti all’economia. Marco Veronese Passarella: l’economia è scienza o è anche arte? L’economista può essere un artista nel suo essere, appunto, economista?
MVP: Mi verrebbe da dire che è confusione, come rivela il fatto che si usi comunemente lo stesso nome, “economia”, per riferirsi sia alla scienza che al suo oggetto. Prescindendo da questo, l’economia politica o “economica” è l’arte di dimostrare, attraverso l’utilizzo di strumenti e metodi scientifici, che l’interesse materiale particolare della propria parte sociale corrisponde all’interesse generale. Insomma, l’una e l’altra cosa – arte della retorica e scienza – al servizio della lotta di classe nel piano più alto della sovrastruttura, quello della produzione delle lenti attraverso cui filtriamo (e modifichiamo) il mondo.

WW: quando l’ho contattata, lei si è definito “un barbaro”, ci spiega perché? Intendeva nel campo della letteratura?
MVP: Lo sono nell’accezione propria di straniero, appartenente a una civiltà remota – dato che sono comunista, ateo e, nei fatti anche se non per scelta, apolide. E, inoltre, lo sono anche nel senso lato di persona che legge ormai pochissimi libri, quasi nessuno. Persino nel mio lavoro la maggior parte del tempo di ricerca è assorbito dalla scrittura di codici e dalla lettura ‘diagonale’ di manuali e pubblicazioni tecnico-scientifiche. E, naturalmente, niente più carta. Solo bit. La barbarie, appunto.
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WW: in letteratura capita di assistere a degli incontri-scontri tra autori e critici: i primi sostengono di essere i veri artefici della letteratura e accusano i secondi di aver ragion d’essere solo come conseguenza dell’esistenza di opere scritte da altri; i critici sostengono che con il loro lavoro di studio, ricerca e analisi razionalizzano, mettono ordine nell’oceano di tutto il pubblicato. Possiamo ragionare alla stessa maniera sostituendo gli autori con gli imprenditori, i politici, i banchieri e i critici con gli economisti?
MVP: Il parallelo è affascinante. Richiede, però, alcune specificazioni. [….] Io sono un macroeconomista e, sì, cerco di trovare un ordine nel caos delle relazioni sociali. A differenza dei miei colleghi mainstream, però, non cerco affatto di dimostrare che quel caos è un cosmo newtoniano. Al contrario, lo tratto come un sistema complesso il cui comportamento emergente prescinde dalle intenzioni dei singoli. Si dice spesso che in economia non si possano fare previsioni accurate perché gli individui, a differenza degli atomi o dei pianeti, prendono decisioni autonome. Nulla di più fuorviante. Il problema è, al contrario, che il sistema ha un comportamento proprio che non è una banale combinazione lineare dei comportamenti individuali. A renderlo imprevedibile è la quantità di forze e contro-forze che agiscono contemporaneamente, non il libero arbitrio. Un problema molto più simile a quello con cui si misurano i sismologi e i meteorologi che i teologi, insomma. Altro conto, naturalmente, sono gli aspetti normativi, ossia le valutazioni di politica economica. Lì, come detto, è lotta di classe con altri mezzi, e poco altro.
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WW: la sua tesi sul -Capitale di Marx- il suo sito Marxianomics… danno un “leggero” indizio sulla sua visione dell’economia: ha senso combattere “il capitale”?
MVP: È il capitale che combatte me. Me e tutti i salariati. Però è anche un sistema che pone le condizioni del proprio superamento. Che, dunque, ci dà le armi per contrattaccare o almeno difenderci. Visto che queste cose ce le ha insegnate Marx, il riferimento a lui era obbligatorio quando ho dovuto trovare un nome per il sito.
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WW: l’economia è la madre di tutto, il motore della vita? Marco Veronese Passarella se non fosse diventato un economista? Marco Veronese Passarella da grande?
MVP: Come dico sempre, da bambino avevo tre miti: Che Guevara, Maradona e Jim Morrison. Non so, ho come l’impressione che qualcosa sia andato storto.

WW: il suo autore preferito? Il suo libro preferito?
MVP: La verità è che, se si esclude la saggistica (un tempo di filosofia, filosofia della scienza, storia del pensiero economico e fisica, ma negli ultimi anni sempre più di econometria e di programmazione), non ho autori preferiti, né libri preferiti. Fuori dalla rete, oggi non leggo più o quasi. Ho avuto, però, varie fasi nel corso della mia vita, segnate da letture diverse. Le due più importanti, guardando alle loro implicazioni letterarie, sono state due. Dalla fine delle scuole superiori a circa trent’anni a dominare è stato il genere distopico: Huxley, Orwell, London, Butler, per citarne alcuni. Di questi, Huxley (Il mondo nuovo) è forse quello che ho apprezzato di più. Poi, all’improvviso, alcuni amici mi hanno fatto scoprire autori americani come Lansdale e Palahniuk, che ho subito amato per il senso di spiazzamento nichilista che ingenerano (La notte del drive-in, Soffocare, ecc.). Ma anche, qualche anno prima, i viaggi al termine delle notti emiliane di Tondelli in Altri libertini. Tutto ciò che provoca stordimento, capovolgimento della realtà, allucinazioni, apnea. Lo smarrimento dei sensi come medicina o arma estrema contro la perdita di senso: è questo ciò che ho chiesto sovente ai libri. Quando leggevo. Quando non ero un barbaro.

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